Una vendita che non incassa si chiama regalo

24 Ottobre 2017

Vendita: il problema oggi non è vendere, ma vendere bene e soprattutto incassare bene, nei tempi e nei modi pattuiti

Mi capita ancora, purtroppo, di incontrare imprenditori della rivendita che, dopo aver respinto un pagamento, facendo finta di nulla, iniziano a discutere di nuove opportunità di business, nuovi investimenti… E io, ogni volta, devo affidarmi a tutte le mie ‘capacità diplomatiche’ per non andare su tutte le furie e rompere alcuni equilibri. Poi ci ripenso a mente fredda e mi rendo conto che se oggi la gran parte dei settori dà cosi poco valore al “pagamento” è perché qualcuno glielo ha permesso negli anni passati (pur di vendere) e ha trasformato il pagamento in un argomento commerciale per differenziarsi.

Peccato che fino al 2008 i margini permettevano questo e altro, ma oggi è assolutamente inaccettabile questo approccio al mercato. Oggi le aziende investono grandi risorse per sviluppare nuovi prodotti, nuove idee, nuovi strumenti per argomentarne il valore e trasportarlo e poi si trovano partner della rivendita che prendono molto volentieri tutto questo bel pacchetto (anche perché li aiuta non poco a vendere e a differenziarsi), ma non lo pagano.

Le motivazioni sono molteplici, ma la più surreale che ho sentito è quella di chi racconta che, per colpa di prodotti di bassa fascia,
di importazione, ha avuto una causa, non è riuscito a incassare e quindi ora non può pagare i fornitori su altri cantieri.
Allora la mia considerazione da consulente è: “Ma siamo sicuri che sia davvero una strategia intelligente quella di andare a cercare – e vendere – prodotti di basso valore, basso prezzo e bassa reddittività, se poi a causa di questi prodotti si rischia di perdere anche marchi di valore, che permettono di differenziarsi?”.

Il concetto di risultato

Quando parlo con alcuni di questi imprenditori della rivendita mi rendo conto che il metro di valutazione del concetto di insoluto è decisamente sbagliato: si fa molta confusione tra il concetto di perdere il margine commerciale e quello di perdere il capitale. In questo mercato così competitivo oggi non ci si può permettere di perdere il capitale, in quanto si rischia di dover fare 10 vendite per recuperarne una andata male. Se l’insoluto è un fatto straordinario, come è sempre stato, si può gestire, ma se l’improvvisazione di molti imprenditori lo fa diventare un fatto ordinario, il rischio è quello di distruggere il valore in pochissimo tempo.

Un circolo vizioso

Un’azienda di qualità, con un buon marchio, un ottimo posizionamento, ma con tanti insoluti inizia ad avere problemi di liquidità e, di conseguenza, deve ricorrere al credito, aumentando i costi finanziari, ma limitando al tempo stesso la propria credibilità nei confronti delle banche, in quanto dà un grande segnale di fragilità. Perdendo importante marginalità, l’azienda è costretta a ottimizzare i propri costi per ri-equilibrare i bilanci e, di conseguenza, andrà a limitare quelle attività che gli hanno permesso negli anni di raggiungere una quota di mercato e una notorietà di marca importante. L’attività di ‘sfoltimento’ rischierà di diminuire il valore -meno innovazione, meno marketing, meno flessibilità – e alla fine, per chiudere i contratti, si utilizzerà solo il prezzo per distinguersi dai competitor. E, quando si inizierà a fare questo, i margini saranno ancora più bassi e si entrerà in quel vortice che non potrà far altro che travolgere un brand verso il basso. Più punti vendita in competizione tra loro e più aggressività sul prezzo… e meno fedeltà al brand.

Bisogna fare una scelta

Allora la mia domanda è: “Ma vale la pena fare da banca ad aziende incapaci di vendere valore? Vale la pena mettere a rischio il proprio futuro per chi non dà valore al proprio? Vale la pena continuare a ragionare sul concetto di fatturato o forse è meglio iniziare a valutare conclusa una vendita quando i soldi sono in cassa?”.

Credo che il futuro di questo mercato passerà molto da qui. È normale che tutti i mercati abbiano dei cicli: degli anni si guadagna
molto (a volte anche più di quanto meritato dalla fase di semina) e degli anni non si guadagna; bisognerebbe utilizzare le risorse e le ricchezze aziendali accantonate per far fronte agli anni di crisi.

I rivenditori, invece, dovranno decidere una volta per tutte dove posizionarsi, ma nei fatti (a parole tutti si dichiarano nell’alta fascia del mercato). Devono decidere come fare a essere affidabili, come fare a generare margini e valore, come fare a vendere e trasmettere valore e, di conseguenza, dovranno decidere con quali partner questo sarà più probabile e con quali meno.
Di certo nello stesso concessionario non si potrà vendere un’auto da 8.200 euro e una da 150.000 euro, anche se il venditore a disposizione è il migliore del mondo. Non è credibile.

Il problema oggi non è vendere, ma vendere bene, ri-vendere bene e, soprattutto incassare bene, nei tempi e nei modi pattuiti in sede di trattativa.

 

 

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