La vendita empatica scavalca la tecnica e guarda alla persona e non al cliente
Lo stereotipo della vendita come lotta corpo a corpo con il cliente con in palio la firma di un contratto è cosa del passato, anche se ancora oggi in alcuni modelli di vendita persiste, in modo particolare in quelli che non puntano alla fidelizzazione del cliente, quelli che definisco da una botta e via.
Mai come nell’era del web il ruolo del venditore è cambiato, perché è cambiata anche la consapevolezza del cliente, il suo livello di informazione, la sua possibilità di scegliere, anche attraverso un semplice click.
Mai come oggi il valore della consulenza che un commerciale può fornire al cliente ha assunto un peso così determinante nell’influenzare la decisione d’acquisto.
Tuttavia una cosa antica è rimasta ed è, a mio avviso, il principio di tutto: la relazione.
Qualcosa che scavalca la tecnica e che guarda alla persona e non al cliente. Se è vero, come è vero, che non sono i clienti il patrimonio delle aziende ma i clienti fedeli, allora la vendita non può più essere vista come un atto, ma deve essere intesa come un vero e proprio processo orientato non solo ad acquisire un contratto ma ad acquisire un cliente.
Ma veniamo al cuore, alla fase negoziale e partiamo da due considerazioni fondamentali:
- Tutti amano comperare e nessuno ama farsi vendere qualcosa.
- Nessuno compera un prodotto o un servizio per quello che è, ma per la sensazione che proverà nell’usarlo.
Se si condividono queste due affermazioni, pur forzate all’estremo – tutti, nessuno – viene da sé che è fondamentale comprendere i criteri d’acquisto del cliente e individuare i bene ci che ricaverà dall’acquistare ciò che vendiamo. E come possiamo costruire la migliore offerta per lui se non conquistiamo la sua fiducia umana, se non entriamo nel suo business, se non ci mettiamo nei suoi panni, in poche parole se non riusciamo ad allinearci alla sua visione?
Ecco perché è necessario stabilire con il cliente, con l’altra persona, una condizione di empatia che amo accreditare in uno dei suoi significati greci en (dentro) pathos (sofferenza).
Scelgo sofferenza in luogo di emozione, perché al momento della nostra proposta il cliente si troverà davanti ad una scelta – comperare o non comperare – ed ogni scelta genera sofferenza.
In conclusione, entrare in sintonia umana con l’altro, stabilire un rapporto empatico è fondamentale per abbattere il naturale muro di diffidenza iniziale – «Chi è questo? Cosa vorrà? Perché dovrei ascoltarlo?» – e aiutarlo ad aprirsi, a raccontarci il suo progetto di business, i suoi bisogni e persino i suoi sogni.
Non voglio concludere con suggerimenti tecnici che possono rischiare di rasentare la manipolazione, desidero invece segnalare quella che, sul tema dell’empatia, considero la madre di tutti i consigli: approcciamo i clienti con lo stato d’animo del mi interessa, mi sta a cuore.
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