Può il contesto nel quale operiamo influire sui nostri pensieri e le nostre azioni? Le persone che incontriamo, l’ambiente che ci circonda, il nostro lavoro modificano chi siamo?
Sono milioni le ricerche condotte sull’impatto che i fattori esterni hanno sulla nostra percezione: dal colore della stanza nella quale ci troviamo alla postura che teniamo, la musica che ascoltiamo e così via.
Ma sopra tutto ci sono loro: le nostre credenze.
Tutti noi siamo profondamente condizionati dalle nostre credenze, ossia quelle rappresentazioni mentali che ci dicono che qualcosa è vero, non importa se mancano le prove empiriche a dimostrare che le cose stiano effettivamente così.
Le credenze sono alla base della vita umana, rappresentano uno degli elementi costitutivi del pensiero cosciente e guidano i nostri comportamenti. Spesso si fondano su dati di fatto: ad esempio, che viviamo in una data città, che siamo vivi, che il nostro pc si trova sulla scrivania, ecc.
Altre volte, però, possiamo convincerci di qualcosa di subdolo e non sempre oggettivo, come il fatto che stiamo vivendo una giornata “storta”.
Ore 6:30, suona la sveglia ma hai passato la notte a girarti nel letto. Devi alzarti e sei più stanco di quando sei andato a dormire. Ti prepari la colazione e rovesci per terra il bicchiere, che puntualmente si rompe.
Ti scappa qualche parolaccia e raccogliendo i cocci ti tagli. Fai tutto di corsa per recuperare i minuti preziosi sprecati nel ripulire il disastro e ti precipiti nel traffico della mattina per raggiungere il lavoro.
Ovviamente la città è bloccata.
Sai già che sarà una “giornata no” e tutto andrà storto.
E, fammi indovinare, arriverà la sera ed effettivamente non avrai concluso nulla!
O hai la sfera magica per leggere il futuro o anche tu, come tutti gli esseri umani, sei vittima di un meccanismo psicologico chiamato self fulfilling prophecy (profezia autoavverante).
Merton fu il primo, nel 1948, a studiare questo fenomeno, ma nei decenni successivi seguirono una valanga di ricerche e di esperimenti che dimostrarono che “l’effetto Pigmalione” esiste realmente.
In sostanza, le nostre credenze e le nostre aspettative possono, in una certa misura, plasmare la realtà attraverso un’influenza inconscia sul nostro comportamento.
Anche se non ce ne rendiamo conto, quando ci convinciamo che la giornata andrà male amplifichiamo le nostre emozioni negative (che purtroppo sono molto più “contagiose” di quelle positive) facendo crescere ansia e sfiducia, le quali andranno a modificare le nostre prestazioni: davanti al cliente saremo meno empatici, non ci usciranno le parole giuste, non argomenteremo come normalmente siamo in grado di fare e ci fermeremo al primo “no”.
Ma non solo.
In questo caso, per via del bias di conferma, tenderemo a notare e dare enfasi soprattutto agli accadimenti negativi (ho dormito male, si è rotto il bicchiere, ho trovato traffico).
I bias cognitivi (o pregiudizi cognitivi) sono meccanismi che influenzano le nostre percezioni e credenze, distorcendole e rendendoci irrazionali nelle scelte e nei comportamenti. Il bias di conferma è il processo mentale che ci porta a cercare, selezionare e accettare solo ed esclusivamente informazioni che confermano le nostre posizioni. In sostanza, auto-selezioniamo i dati che confermano la nostra visione e ignoriamo quelli che la screditano (è una bellissima giornata, sono in salute, sono arrivato in orario nonostante il traffico, ecc).
Ecco perché, se ci siamo convinti che la giornata andrà storta, senza rendercene conto faremo di tutto pur di darci ragione!
La profezia che si auto-avvera, per fortuna, funziona anche in positivo.
In uno studio condotto da Rosenthal e Jacobson nel 1968, è stato dimostrato che un gruppo di studenti, selezionati casualmente dai ricercatori ma presentati come molto promettenti agli insegnanti, avevano effettivamente performato maggiormente, sia nei risultati scolastici che nel punteggio al test del QI.
Il motivo è da ricercare nel fatto che gli insegnanti, influenzati dall’informazione manipolata, avevano dedicato maggiori attenzioni e impegno nei confronti di questi allievi, preferendoli al resto della classe.
Se quindi le mie prestazioni dipendono dalle convinzioni mentali, esiste un segreto per performare anche nelle giornate no?