L’influenza nella fase d’acquisto: i micro influencer

03 Ottobre 2018

La rivincita dei micro influencer!

Amati, adorati, odiati… elevati a livello di vere e proprie celebrities, osannati come trendsetter e coperti d’oro per un semplice selfie su Instagram; se non l’aveste ancora capito, sto parlando della categoria degli influencer.

Che ci crediate o no si tratta di un vero e proprio lavoro che frutta milioni, se non miliardi, di fatturato l’anno.

Le immagino le vostre facce perplesse mentre leggete queste righe: come può uno scatto pubblicato su di un social network, valere così tanto? E, dall’altra parte, come può un’azienda, investire del denaro nell’acquisto di un servizio che sembra così poco concreto e redditizio?

Il fenomeno degli influencer è difficile da quantificare ma, quello che è certo è che molto spesso un post su Instagram ha più impatto di un canonico flyer.

Uno studio del Global Trust in Advertising Survey di Nielsen ha evidenziato che due terzi dei consumatori si fidano di più delle opinioni pubblicate online.

Perché? Pensiamoci un attimo: voi porreste più fiducia in un modello su di un cartellone pubblicitario, pagato dal brand e posizionato tragicamente sull’incrocio di turno, o in un ragazzo/ragazza che facendo un video a casa sua racconta quanto un prodotto sia valido o meno? Sta proprio nella natura naive artigianale e potenzialmente genuina la forza dell’influence. Qui, infatti, si trova la grande differenza con il testimonial pagato profumatamente per dire esattamente quello che il marchio comanda: il blogger, potenzialmente, dovrebbe dire quello che vuole e pensa davvero.

Ma l’influencer non è comunque pagato/pagata? Assolutamente sì e molto spesso anche di più! Tuttavia, il megafono dei social media che utilizza abitualmente lo agevola ad essere percepito come più affidabile e veritiero. A questo proposito è intervenuto l’Antitrust tirando le orecchie a numerosi e famosi trendsetter sostenendo, a ragione, la necessità di segnalare sempre ai propri fedeli seguaci ogni contenuto pagato o sponsorizzato da un marchio terzo.

Che la genuinità del contenuto si vada a perdere o meno, dipende di certo dall’influencer stesso e dal suo modo di fare business.

Che cosa può fare, a questo punto, una piccola o media impresa che vuole imbarcarsi in questo mare periglioso dove tutti, sembra, possano diventare megafono di opinioni e giudizi?

Prima di tutto direi di lasciare stare le celebrities con numeri da capogiro. Se il giovane spigliato, bello e ricco, con milioni di followers su Instagram vi fa gola, sono qui per dirvi che non è la strategia migliore. Se volete davvero fare breccia nella mente e nel cuore di vostri potenziali nuovi consumatori allora affidatevi ai così detti micro-influencer. Sono blogger molto settoriali, con un pubblico specifico e targettizzato, che non supera i ventimila/trentamila seguaci.

I micro-influencer sono infatti una risorsa decisamente meno dispendiosa ma al contempo più proficua: riescono a creare un legame molto stretto con i loro followers interagendo con il potenziale cliente in modo molto più attivo rispetto al collega con due milioni di seguaci.

Inoltre, sempre per lo stesso principio possono vantare un livello di interazione molto più elevato. E, si sa, l’interazione è il Sacro Graal nel mondo dei Social Media. Infatti, se vogliamo ridurre il tutto a numeri e statistiche, un account con un numero di seguaci compreso fra i diecimila e i centomila, ha una percentuale di interazione media del 2,37% – per quanto riguarda il numero di like e dello 0,14% se parliamo di commenti. Quando si tratta invece di un account con più di un milione di followers, allora le cifre si abbassano: rispettivamente arriviamo all’1,66% e allo 0,06%.

Per concludere, se l’idea è quella di investire su di un influencer famoso e quotato, attenzione all’effetto “petardo”: l’improvvisa notorietà e un boom di vendite possono portare ad una difficoltà persistente di mantenere alto il livello di attenzione con il rischio di diventare fuori moda.

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